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L'importanza del doppiaggio? Ce la dimostra Netflix

L’importanza del doppiaggio? Ce la dimostra Netflix

“Il doppiaggio italiano dei film stranieri impedisce la scelta di ascoltare le voci originali ed è un ostacolo alla conoscenza di una seconda lingua”.

Questa è una delle critiche principali al doppiaggio, una caratteristica negativa, a quanto pare, tutta italiana. È Netflix, però, a rivelarci quanto questa critica sia infondata. In un’intervista rilasciata al quotidiano La Stampa, Danny Sheenah, direttore del controllo qualità per la popolare azienda che distribuisce e produce film, serie tv, documentari e molto altro sulla sua piattaforma, rivela che in Italia l’84% degli spettatori, pur potendo scegliere, preferisce la lingua italiana rispetto a quella originale e sottotitolata. E tale percentuale, pur ponendo il nostro paese in cima alla classifica, non è troppo lontana da quella di altri paesi come Germania (80%), Spagna (79%), Brasile (75%), Messico (72%), Cile (71%) e Francia (70%). Solo in Polonia e in Giappone la maggioranza degli spettatori preferisce la lingua originale.
Netflix, quindi, ci dimostra che non solo la lingua italiana viene preferita anche quando c’è la possibilità di selezionare quella originale, ma anche che non è una peculiarità tutta nostra, bensì di tanti paesi non anglofoni che vogliono potersi godere i principali prodotti che arrivano dall’estero nella propria lingua. Il doppiaggio non impedisce la conoscenza di una lingua diversa, critica che, al limite, andrebbe rivolta ad altri settori della società, ma fornisce la possibilità a tutti di fruire di contenuti di qualità prodotti in altri paesi. È uno strumento di diffusione della cultura, non un freno ad essa. E chi ha la fortuna e la bravura di conoscere una o più lingue oltre all’italiano può godersi le voci originali grazie alle tecnologie ormai diffuse in tutte le piattaforme di streaming video, nonché anche nei supporti Home Video in Blu-Ray.

Roberto Pedicini

Intervista a Roberto Pedicini

Una bella chiacchierata col nostro Roberto Pedicini, docente dell’Accademia del Doppiaggio che presta la sua voce per attori come Kevin Spacey, Javier Bardem e Jim Carrey. Con lui abbiamo parlato del lavoro del doppiatore, dell’insegnamento all’interno dell’Accademia e del suo impegno radiofonico, altra parte molto importante della sua vita.

Come hai iniziato questo lavoro?

Lavoravo in una televisione locale in Abruzzo, TvQ di Elia Iezzi, che conduceva un programma dove venivano intervistati alcuni doppiatori famosi come Pino Locchi, Pino Colizzi, Ferruccio Amendola, voci importanti del cinema. Io andavo a guardare queste interviste e a vedere come parlavano. Erano persone che avevano un grande carisma, l’ingrediente principale del lavoro dell’attore. Fu questo che mi colpì: non la voce, ma l’emozione che davano quelle voci. Ed è anche su questo che baso il mio insegnamento per l’Accademia, cercare di trasmettere qualcosa che ognuno di noi ha in sé. Poi c’è l’attitudine, il talento. Cosa che io probabilmente avevo, perché quando ho iniziato era come se avessi sempre saputo fare questo lavoro, mi veniva naturale, non ho mai provato agitazione ed emozione di fronte al microfono. E questo da subito: feci il primo provino a Roma, andai in sala e, dopo due giri dell’anello, chiesi subito all’assistente di togliere l’audio e lui mi disse: “Di già?”. Feci la scena subito, mi veniva facile entrare nel corpo dell’attore. Va detto che, in antitesi a questo pregio, avevo il problema dell’apparire, avevo molta timidezza, vergogna, non mi piacevo fisicamente. Andavo in soggezione, mi sentivo un bambino indifeso sotto il giudizio degli altri, giudizio che io stesso mi davo. Il doppiaggio mi permetteva di far uscire la mia anima, un’anima ricca di emozioni e sentimenti, cosa su cui ho lavorato e continuo a lavorare tanto. Dal provino di Roma, con Mimmo Palmara, è iniziato tutto. Tra l’altro non ho fatto nessun corso di recitazione e di dizione, è stata esperienza diretta. Guardavo quello che facevano gli attori a schermo e lo riproducevo. Ho un orecchio molto sviluppato, quello che sento riesco a riproporlo, ma non semplicemente imitandone la voce ma anche dando l’emozione dell’attore durante la scena.

Come vi è venuta l’idea di aprire un’Accademia del Doppiaggio e qual è il tuo rapporto con l’insegnamento?

Circa 15 anni fa io, Walter Bucciarelli e Christian Iansante andammo a cena a Pescara e ne parlammo. C’era una grande richiesta in quel momento, capimmo che si poteva provare questo percorso e, infatti, oggi siamo la scuola che ha più succursali e corsi in tutta Italia. Non è semplice, non prendiamo tutti e diventa sempre più difficile, anche perché c’è meno necessità rispetto al passato. All’epoca ero il doppiatore del momento, ma comunque mi chiedevo cosa avrei potuto insegnare a dei ragazzi, non esiste un metodo. Poi ho capito che il metodo più sincero di essere un insegnante è essere se stessi, essere veri, trasmettere agli altri quello che è stato il tuo percorso e cosa hai capito durante questo percorso. L’insegnante deve essere generoso: do tutta la mia energia. Non chiedo allo studente di essere perfetto, anche perché è lì per imparare, ma deve metterci la stessa energia, la stessa forza che do io. Non posso insegnare la passione e l’amore. Poi, ovviamente, ci sono ragazzi che hanno più attitudine e quelli che ne hanno meno, ma tutto dipende da come ci si approccia. Molti credono che conti solo la voce, ma in realtà la voce può essere solo un bel suono o un brutto suono, un suono di carattere o da protagonista. Ferruccio Amendola non aveva una voce bella, ma era molto carismatica. Bastava che dicesse due parole e lo si riconosceva subito. Lui era vero, ed è questo che devono capire subito gli allievi.

Qual è il primo consiglio che dai ai tuoi allievi?

Imparare a essere vulnerabili e disponibili. Io stesso mi sono rimesso in gioco in un laboratorio permanente di recitazione di Alessandro Prete e ho imparato un concetto primario: se noi ci mettiamo in una situazione di predisposizione all’ascolto, possiamo vivere il “qui e ora”. Quando sei vulnerabile apri il tuo petto alle emozioni, fai lavorare la tua intelligenza emotiva e creativa, non quella razionale. Quando stai girando, o sei a teatro, il regista dice “azione!”, non “pensiero”. Un attore fa questo, agisce. E noi dobbiamo iniziare a sentirci: non la nostra voce con l’orecchio, ma sentirci a livello emotivo. Questa è la vulnerabilità e, se vivi il qui e ora, rimandi quello che senti.

Un’altra parte molto importante della tua vita lavorativa è la radio. Un amore ritrovato…

Sì, due ore al giorno, su Radio Freccia. Sono da solo, in totale solitudine, senza regia e con i messaggi degli ascoltatori. Ho inventato un personaggio che si chiama Bob Revenant e il contenitore di queste due ore si chiama “Arca dell’arte e del libero pensiero”. Ogni sera affronto un tema, dalla lussuria, la vergogna, le fobie, l’amore, la fiducia, insomma tutto lo scibile delle emozioni umane, e ne parliamo. In questo modo si crea un’empatia con l’ascoltatore. Non sono tecnicamente perfetto e non sono nemmeno un figlio del rock, anche perché il rock oggi non è il mio genere preferito. Però diventa funzionale il concetto del rock, un rock che è modo di vivere. Ed è rivoluzionario. E rivoluzionario non significare diventare cattivi, brutti, ma essere aperti, disponibili in un mondo dove tutti sono aggressivi, diffidenti. Bisogna dare un’accezione positiva alla vita. Questo è quello che voglio fare in radio e sta andando alla grande, mi arrivano tantissimi messaggi ogni sera. Tutto questo mi dà una gioia e un entusiasmo grandissimi, non i soldi che di certo aiutano nelle esigenze pratiche, ma noi siamo felici solo quando facciamo qualcosa che amiamo.

Quali attori ti hanno messo più in difficoltà?

Tecnicamente Jim Carrey. E l’attore più faticoso da doppiare, anche se in questo momento non sta lavorando a causa di gravi problemi personali. A volte mi sono capitati dei cartoni animati difficili, come ad esempio Megamind. A livello recitativo Javier Bardem e Kevin Spacey sono quelli che mi hanno fatto provare tante emozioni, mi hanno messo a dura prova, anche perché hanno fatto dei film strepitosi e complessi da un punto di vista emotivo. Però per me difficile vuol dire “che bello, voglio farlo!” e non “è troppo difficile, non ci riesco”.

Christian Iansante

Intervista a Christian Iansante

Oggi parliamo con uno dei docenti della nostra Accademia, Christian Iansante. Presta la sua voce ad attori del calibro di Bradley Cooper, Ewan McGregor, Jeremy Renner, Christian Bale, Joseph Fiennes e Andrew Lincoln e da anni forma tanti giovani che vogliono avvicinarsi al mondo del doppiaggio. I suoi inizi, i consigli agli studenti e alcuni aneddoti sul suo lavoro in questa intervista tutta da leggere.

Sei partito dalla radio, in Abruzzo. Come hai iniziato a fare questo lavoro?

Io ho iniziato con la radio a Chieti Scalo nel 1978 e fino al 1983. Sono stati cinque anni lunghissimi, in cui ho condiviso questa passione con Giampaolo Ferrante che purtroppo non c’è più. Eravamo una grande coppia. Ho iniziato con Radio Gamma, mentre l’ultima è stata Radio Flash Abruzzo, dove c’erano Gianfranco Valli ed Elia Iezzi, che di fatto è il mio padre artistico. Lui aveva già fatto doppiaggio per diversi anni. Poi a Pescara ho fatto laboratorio teatrale, esperienza che mi ha permesso di capire cosa non dovevo fare, visto che poi quando sono andato a Roma ho capito che tutto quello che avevo fatto fino a quel momento era sbagliato. Il lavoro l’ho imparato proprio a Roma, sul campo, certo ho fatto anche diversi corsi, ma è l’esperienza diretta che mi ha formato.

Come hai appena detto, ti sei formato con l’esperienza diretta. Oggi, invece, chi vuole affacciarsi a questo mondo ha a disposizione degli strumenti come l’Accademia del Doppiaggio dove tu sei docente. Com’è insegnare?

Insegnare è un’esperienza straordinaria. Ho a che fare con persone che sono agli inizi, che si imbarazzano, che fanno errori frutto della verità. Una delle prime cose che dico agli studenti è che in questo lavoro non bisogna assolutamente preoccuparsi del giudizio: se ci si imbarazza, o ci si libera subito di questo problema oppure è meglio fare un altro mestiere. In qualche modo, loro mi fanno restare con i piedi per terra, impedendomi di diventare meccanico e preconfezionato dopo tutti questi anni ad alti livelli. Mi fanno vivere l’emozione: non viverla più è la morte del doppiaggio. La soddisfazione più grande è sapere di aver cambiato la vita a tante persone che non avrebbero mai fatto questo mestiere senza l’Accademia.

Eppure il doppiaggio italiano è spesso criticato. Qualche tempo fa anche un attore che tu hai doppiato in passato, Vincent Cassel, vi ha addirittura definiti una “mafia”.

Vincent Cassel ha detto una cosa senza pensare, sono dichiarazioni che trovano il tempo che trovano. Lui, e tutti coloro che criticano il doppiaggio italiano, dovrebbero rendersi conto che un prodotto non doppiato non vende biglietti al cinema. Sia ben chiaro, i detrattori hanno ragione: il doppiaggio è un tradimento. Ma se secondo loro il doppiaggio dovrebbe essere abolito, allora si prendano la responsabilità imprenditoriale di aprire un loro Multiplex, lo chiamino pure “Il Multiplex del Diritto”, visto che secondo loro è un diritto vedere i film in originale e, quando a fine mese avranno venduto venti biglietti in totale e dovranno pagare le spese e i dipendenti, si renderanno conto di cosa significa. Questa è la realtà, il resto sono solo chiacchiere. Purtroppo è demagogia, tutta italiana.

In alcune interviste hai parlato di questo lavoro come una “routine” che impedisce di entrare nel personaggio che si doppia. Cosa intendi con questo?

Bisogna smetterla di pensare che il doppiatore si debba macerare dentro per dare emozioni al personaggio. Questo è un lavoro. La nostra è routine, ma la routine non vuol dire fare male: vuol dire che non devo per forza morire dentro ogni volta che doppio, ma che anzi bisogna dare l’emozione necessaria nei 40 secondi che ci toccano, per poi tornare tranquillamente a parlare dei fatti nostri. Nella routine puoi essere straordinario, senza che questo comporti il doversi portare a casa tutti i personaggi che interpreti. Resta comunque un’impresa, e le imprese devono produrre soldi. Toglietevi dalla testa l’idea del romanticismo di questo lavoro! Il nostro compito è produrre denaro! Poi se devo fare il romantico troverò il modo di esserlo, se devo essere ironico lo sarò, se devo fare il santo farò finta di credere in Dio.
E tutto va fatto anche velocemente: noi in una singola sessione registriamo delle scene che un attore gira in tre mesi e mezzo. Molti miei colleghi quando vengono intervistati non parlano di se stessi, bensì di altre persone che non sono loro. Parlano di conflitti interiori, della fatica di far proprio un personaggio, ma in realtà mostrano una realtà che non esiste. Molti nostri allievi non riescono a farcela proprio perché credono che in questo lavori basti portare se stessi, mentre invece noi dobbiamo essere qualcun altro. Bisogna essere pratici, portare a casa la scena, senza farsi troppe ‘pippe’ mentali: la ‘pippa’ non porta a nulla, la verità è nella concretezza. Quando dico queste cose ai miei studenti, spesso mi guardano male. Solo dopo capiscono che le mie parole erano vere, che non avevo alcuna intenzione di abbatterli o demotivarli, ma solo di mostrargli la realtà, senza far credere loro a mondi che non esistono.

Chiudiamo con una curiosità. C’è un attore che non hai mai doppiato e che ti piacerebbe doppiare prima o poi?

Edward Norton. Li ho doppiati praticamente tutti, chi per tanti film come Bradley Cooper, chi per pochi. Lui è l’unico che mi piacerebbe doppiare prima o poi.

fabrizio mazzotta

Fabrizio Mazzotta intervistato da Stay Nerd

Il nostro Fabrizio Mazzotta, docente dei corsi base dell’Accademia del Doppiaggio di Roma, è stato intervistato dal portale Stay Nerd in merito al suo lavoro di doppiatore, disegnatore e scrittore, nel corso dell’evento Etna Comics 2017 di Catania. Noto al grande pubblico anche per la voce di Krusty nella serie animata I Simpson, proprio in questi giorni è stato impegnato con la serie di Matt Groening, mentre è in attesa di novità sulla serie televisiva Scream, di cui è direttore del doppiaggio: «Vedrà un grosso cambiamento nei prossimi mesi – ha detto Mazzotta – cambieranno alcuni attori e non so ancora se affideranno a me il doppiaggio della terza stagione». Continuando a parlare della serie americana, ha parlato del suo rapporto anche con la controparte cinematografica: «I film di Scream non sono riuscito a farmeli piacere, mentre la serie mi è piaciuta tanto. La terza stagione sarà un vero e proprio reboot, quindi alcuni misteri resteranno tali».
Fabrizio Mazzotta è poi entrato nel vivo del suo lavoro, spiegando come vi si approccia, da direttore del doppiaggio: «Non sono un direttore severo, a volte sono rigido, altre più fluido. Non sempre riesco a star dietro alle cose a cui lavoro, avrei voluto rivedere alcune serie ma non c’è mai il tempo. Cerco però di dare sempre uno sguardo per vedere come sono venute, se ho fatto un buon lavoro e quali errori ho commesso».
Ha poi parlato di un problema legato al suo lavoro da doppiatore e, in particolare, ai ruoli interpretati: «Ho avuto grosse difficoltà all’inizio nel farmi affidare il doppiaggio di film con attori veri. Io non potrò mai doppiare Tom Cruise, ma potrei dirigere il doppiaggio di un film con lui. Tra cartoni animati e film non cambia nulla, c’è la stessa cura, lo stesso studio e lo stesso lavoro. Mi piacerebbe fare grossi film cinematografici».
Infine, un consiglio a tutti coloro che vogliono approcciarsi a questo lavoro: «Bisogna affidarsi a dei professionisti, non a internet. Bisogna essere attori completi, saper recitare, avere una buona dizione senza inflessioni dialettali, saper emozionare con la voce. È molto difficile. Servono gavetta, studio e caparbietà, l’ambiente del doppiaggio è difficile».