Ugo De Cesare

Ugo De Cesare in questa intervista racconta il suo passaggio dal mondo del Cinema e della TV a quello del doppiaggio, dalle prime lezioni al lavoro da professionista.

D. Com’è nato in te il desiderio di diventare doppiatore?
R. Sin dalla mia infanzia sono sempre stato affascinato dal mondo del doppiaggio, ricordo che come ogni bambino ripetevo le voci dei cartoni giapponesi mentre giocavo con i miei giocattoli. Poi crescendo mi sono avvicinato dapprima al mondo della recitazione, per finire casualmente ad incontrare per motivi diversi Christian Iansante che mi parlò dei suoi corsi, cosa che già da tempo sapevo grazie a Walter Bucciarelli, che potrei definire il mio “padre artistico” avendomi fatto muovere i primi passi in TV. Quando si presentò l’occasione, per congiunture favorevoli della mia vita in generale, mi decisi a frequentare il corso e da quel momento la mia vita è cambiata.

D. Racconta l’esperienza con l’Accademia del Doppiaggio e, se ti va, qualche aneddoto.
R. Mi ricordo nitidamente la prima lezione, nella quale non credevo ai miei occhi, più che altro alle mie orecchie. Durante gli esercizi in gruppo, mentre camminavamo in circolo per riscaldare il corpo, girando in tondo capitava che dessi le spalle a Christian o Roberto e mentre loro ci davano le indicazioni mi sembrava che a parlare fosse Bradley Cooper o Kevin Spacey. Anche nella seconda fase del corso, al leggio, sembrava di essere in un film, mentre noi provavamo a doppiarlo e loro, per farci degli esempi, ce lo facevano vivere con le loro voci: una sensazione incredibile e difficile da descrivere.

D. Raccontaci la tua prima esperienza in sala di doppiaggio.
R. La mia prima incisione in sala di doppiaggio è arrivata dopo circa un paio di mesi passati in sala a seguire una serie nella quale il protagonista era doppiato da Roberto Pedicini. Dire che ero emozionatissimo e tesissimo è dire poco, anzi pochissimo. La Direttrice dicendomi “ti faccio provare, non so se puoi starci bene, ma vediamo, in caso ti sostituisco”. Vado al leggio e comincio con il primo anello, poi il secondo, poi il terzo, non potevo credere che il personaggio “parlasse” così tanto… alla fine incisi 33 righe, che come prima incisione non è affatto poco, ma la cosa più gratificante sicuramente rimane il responso della Direttrice: “ci stavi benissimo, vieni a firmare il contrattino!”

D. Quali sono state le prime difficoltà che hai incontrato e come le hai risolte?
R. La prima difficoltà che ho incontrato (e che incontrano tutti) è stata sicuramente quella di “trovare” il lavoro. Questo si risolve semplicemente armandosi di grande intraprendenza, tenacia e pazienza. Se non ci si scoraggia e, sopratutto si è pronti per sostenere un provino (su questo bisogna assolutamente prendere come oro colato il giudizio di fine anno di Christian e Roberto) alla fine i risultati arrivano, è matematico. All’inizio avevo una media di pochissimi turni al mese, ma pian piano, nel giro di un anno o poco più sono riuscito a diventare autosufficiente grazie al doppiaggio, che al di là della gratificazione artistica, penso sia un traguardo fondamentale.

D. Quali sono le differenze nel doppiaggio di un film, di un documentario e di una pubblicità? Come si deve approcciare un doppiatore a questi tre tipi differenti di prodotto?
R. A seconda del prodotto al quale siamo chiamati a lavorare, dobbiamo essere in grado di usare il “modo” corretto. Approcciarsi ad un film richiede sicuramente il massimo richiamo alla recitazione attoriale, senza ovviamente dimenticare la tecnica (che pian piano diventerà sempre più automatica senza doverci pensare troppo) ma senza “legarsi” a scapito della naturalezza che un film richiede: ricordiamoci che l’attore sullo schermo sta “vivendo” una scena, noi fermi al leggio che la leggiamo non dobbiamo assolutamente dare quest’idea. I documentari e le pubblicità prevedono altre modalità, alle quali con l’esperienza ci si accosta sempre con più precisione. in definitiva un doppiatore deve essere in grado di “suonare” diversi strumenti restando sempre sullo spartito, cioè il prodotto a cui è chiamato a dar voce.

D. Ti sei mai immedesimato fin troppo in un tuo personaggio?
R. Immedesimarsi in un personaggio è fondamentale per entrare con lui nella scena e, dunque, vivere e restituire le emozioni, le intenzioni, le sfumature nel modo più credibile possibile. Certo, se parliamo di immedesimazione che ti porti dietro per giorni, questo no. Può forse accadere ad un attore che studia a fondo un personaggio per mesi e mesi, ma un doppiatore è difficile che abbia questa sensazione a lungo, soprattutto non può permetterselo, visto che probabilmente un minuto dopo dovrà doppiare un personaggio diverso, su un prodotto diverso, in uno studio diverso.

D. Ti è mai capitato di doppiare, in uno stesso giorno, personaggi molto diversi tra di loro (magari una buona da una parte e un’assassino dall’altra)? È difficile o le tue emozioni restano confinate in quel preciso momento?
R. Come già accennato, è assolutamente possibile, anzi direi che è la normalità per un doppiatore. Io sinceramente non ho mai trovato difficoltà ad adattarmi velocemente (spesso immediatamente) ad approcci diversi dati da prodotti o personaggi diversi, semplicemente perché è il nostro lavoro: è come se un musicista in un concerto avesse difficoltà a passare da un brano lento ad uno veloce o da uno triste ad uno più scanzonato…

D. Rivedi i film che doppi? Se sì, che emozioni provi quando sei nella sala di un cinema, consapevole che tutti gli altri non sanno di essere seduti vicini alla voce che stanno ascoltando?
R. Io non solo mi rivedo (mi risento) quando capita, ma vado proprio alla ricerca di qualunque cosa abbia doppiato (magari ora di meno, ma all’inizio in modo spasmodico) perché penso che solo riascoltandosi ci si possa “studiare” e correggere di conseguenza, in modo da avere una maggior consapevolezza al turno successivo. Più che al cinema, che sinceramente frequento poco, mi capita spesso che a casa in tv la mia compagna mi riconosca ancor prima di me (“amore questo sei tu!”) o che qualcuno mi dica o mi scriva “ti ho sentito su quella serie o in quella pubblicità”… ed è inutile negarlo: ogni attore ha una dose più o meno alta di egocentrismo, dunque fa sempre piacere.

D. Qual è il personaggio che ti è più piaciuto interpretare? E quale attore vorresti doppiare in futuro?
R. Sicuramente ci sono una miriade di personaggi doppiati che mi hanno regalato forti emozioni, ma al momento è sinceramente difficile ricordarli. Uno che sicuramente mi è rimasto impresso, sia perché penso di essere entrato a fondo nel suo personaggio, sia perché inserito in un cast di doppiatori egregi che mi ha portato a “duettare” con Francesco Prando o Luciano Roffi, giusto per citarne un paio, è Adil Joshi in “The Halcyon”, una serie andata in onda sulla Rai nel 2017 diretta da Francesco Marcucci, al quale devo tutta la mia riconoscenza per avermi dato moltissime possibilità soprattutto agli inizi della mia “carriera”. Ovviamente anche altri mi hanno dato fiducia e continuano a darmene, mi vengono in mente Giorgio Bassanelli (con lui avrei tanti personaggi in molti film da citare), Lorenzo De Angelis (mi ha distribuito in alcuni personaggi su “Animals” al fianco di Francesco Pezzulli o in Picky Blinders al fianco di Simone D’Andrea), Silvia Pepitoni, Alessia Amendola (che mi ha dato fiducia su un personaggio davvero tosto su “The Gifted”), il maestro Paolo Buglioni, la Tecnofilm e tanti altri direttori o società che spero non si offendano se non li ricordo ora.

D. Cosa ti piace di più del mondo del doppiaggio e cosa cambieresti?
R. Quel che mi piace di più è sicuramente il lavoro al leggio, al buio, con le forti emozioni e successive soddisfazioni. Quel che cambierei è l’attitudine della maggior parte dei doppiatori (che sembra non vivere nel mondo reale) a lamentarsi continuamente per un lavoro che comunque, ad oggi, resta da privilegiati.

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